Complesso, affascinante, quello delle tonnare è un mondo denso di tradizioni e di usanze che attraversano lo spazio e il tempo; storia mediterranea fatta di sangue, violenza, lotta, in cui i destini dei protagonisti, uomini e pesci, si incrociano in una vorticosa, strenua danza di vita e morte.
Tra le fitte trame di reti particolarmente conformate, snodantesi per chilometri, svariate imbarcazioni, suggestive strutture architettoniche che si elevano dal mare, si svolge il duro lavoro del tonnaroto. Con fatica e sapienza egli osserva, studia, conosce le abitudini della sua preda: il tonno. Abitante dell’Oceano Atlantico, questa elegante creatura del mare, a primavera inoltrata migra attraverso lo stretto di Gibilterra per portarsi nel mediterraneo, dove trova le acque più calde adatte alla riproduzione. Le femmine nuotano in profondità, i maschi, più numerosi, stanno sopra di esse ed eiettano il loro seme non appena la nuvola lattiginosa delle uova emessa dalle prime si spande nell’acqua. Ignari della loro breve vita che si estingue dibattendosi tra le reti dei pescatori.
La storia della Sicilia è legata all’antico rituale della pesca del tonno, come testimoniano alcuni reperti archeologici: un cratere siceliota del IV secolo a.C., monete di bronzo raffiguranti tonni, pitture ed incisioni rupestri risalenti al periodo preistorico. Tracce di un’antichissima attività benché svolta in maniera semplice e rudimentale.
Numerose le fonti letterarie quali il commediografo Aristofane, e i poeti Oppiano e Teocrito, il filosofo Aristotele. I greci (come si evince da quanto tramandato da Aristofane) pescavano il tonno servendosi di vedette che, postesi sul rilievo costiero più alto, avevano il compito di dare avviso del passaggio dello stesso agli uomini che erano pronti a calarsi in mare per stendere alcuni metri di rete. I Fenici, abili pescatori e commercianti, che si spinsero alla ricerca di branchi di tonni, lungo tutto il Mediterraneo ed oltre le colonne d’Ercole (come emerge dagli scritti di Strabone), avevano creato a Cadice un centro specializzato nella lavorazione del tonno. Gli Arabi della dinastia aglabita ne perfezionarono la pesca adoperando un sistema di reti fisse, diviso in camere successive, dando diffusione, nei paesi da loro colonizzati (la Spagna e la Sicilia), di una tecnica ancora oggi adoperata nelle poche tonnare ancora funzionanti.
La tonnara è comandata dal Rais (parola di origine araba che significa capo) che, nel periodo della pesca, fissa i luoghi dove devono essere calate le reti lunghe 4 o 5 chilometri o anche più, fissate tramite un grande numero di ancore. Queste formano il recinto, le porte, le camere ed il centro. Si deve anche agli Arabi l’etimologia delle parole e dei canti dei tonnaroti durante la mattanza (parola, questa, di origine latina: “mactare” significa uccidere).
Esistono due tipi di tonnara, il primo è quello detto di “corsa” o di “andata”, che cattura i tonni nel periodo di Maggio-Giugno, coincidente con la loro riproduzione. Il secondo tipo è quello di ritorno, dove le prede vengono catturate nel periodo di Luglio-Agosto. Le reti vengono issate a bordo con gran fatica dai marinai che si trovano nelle imbarcazioni che cingono la camera della morte, riducendo a pochi metri di profondità il fondo della stessa; col passare dei minuti i tonni, nel ridotto spazio, nuotano sempre più freneticamente mentre vengono arpionati ed issati a bordo, in un mare che si tinge di rosso sangue.
Vi è ancora oggi qualche tonnara rimasta attiva che, benché ridotta ad una mera attrazione turistica, consente tuttavia al visitatore di comprendere il complesso delle operazioni previste per il funzionamento della stessa. Nei mesi antecedenti la mattanza, la vita dei tonnaroti è scandita dalla preparazione e riparazione delle reti, dal trasporto e posizionamento delle stesse, dalla manutenzione delle innumerevoli ancore, dalla calafatura delle barche, dalla lunga attesa delle vedette in mare alla ricerca dei tonni da potere imprigionare nelle camere, sino al giungere del giorno in cui i tonnaroti, tra canti e preghiere di ringraziamento, portano le loro barche dal malfaraggio in prossimità della tonnara.
Il complesso sistema di reti atte ad intrappolare il branco di prede culmina nella camera della morte, quadrilatero contornato da reti, al pari delle camere a essa precedenti, ma con la presenza di una ulteriore rete al fondo solidale con i lati; i tonnaroti, a forza di braccia, la issano un po’ per volta intonando “l’Aiamòla”, antico canto arabo di lavoro che da secoli scandisce l’operazione.
Su ogni lato della camera della morte si pongono tre imbarcazioni, i “Parascalmi”, ampi barconi di lunghezza compresa tra 15 e 20 metri, e il “Vascello”, di 20-25 metri, atto a contenere la maggior parte del pescato. Al centro della camera, tra le acque che ribollono sempre più a mano a mano che le reti vengono issate, si trova il Rais a bordo della sua “muciara”, imbarcazione di 5 o 6 metri, dalla quale impartisce i comandi e dà inizio alla mattanza.