Sin da tempi remoti la pesca ed il trasporto marittimo si dimostrarono una attività molto redditizia. Questa attività praticata soprattutto lungo la fascia costiera entro poche miglia dalla costa ben presto, con l’ausilio di barche sempre più veloci, leggera ma resistenti, facilmente governabili con qualsiasi tipo di mare, si estese sempre più lontano dalle acque siciliane, fino a raggiungere le coste dell’Africa settentrionale, prova di ciò è che ancor oggi a Susa nel Golfo di Hammamet, in Tunisia, vi è un intero quartiere che porta il nome di Capaci(PA), una ridente cittadina a pochi km da Palermo.
Il motivo di questo progresso nella pesca e nei trasporti marittimi, lo troviamo all’interno dei nostri antichi cantieri navali, infatti i nostri Maestri D’Ascia, come già era avvenuto in altri luoghi avevano cambiato il sistema costruttivo delle imbarcazioni. Precedentemente venivano realizzati prima i gusci delle barche, con la messa in opera del fasciame, dopo a seconda dell’imbarcazione questa veniva rinforzata con costole interne libere. Successivamente questo sistema fu abbandonato, cominciò così l’innovativo sistema in cui si realizzavano prima le costole interne (staminali e madieri) collegate alla chiglia, poi successivamente la struttura ottenuta veniva ricoperta dal fasciame che veniva inchiodato alle costole, si otteneva così una struttura molto più robusta rispetto a prima, quindi una imbarcazione in grado di spingersi più lontano. Altro progresso rilevante riscontrato nella cantieristica fu il passaggio dai timoni laterali esterni all’imbarcazione, al timone assiale il quale era una struttura esterna all’imbarcazione che veniva posto all’estremo poppiero collegato per mezzo di agugliotti e Femminelle.
In Sicilia sono rimasti pochi cantieri navali che realizzano o riparano imbarcazioni in legno, ed una delle competenze principali del moderno Maestro D’Ascia è diventata la progettazione, la quale spesso viene eseguita da persone esperte che la eseguono con l’ausilio di supporti informatici.
Nel passato non era così, i Maestri D’Ascia si basavano sulle varie tecniche adoperate nella realizzazione delle imbarcazioni commissionate, applicando le esperienze che avevano maturato nel cantiere in funzione delle richieste dei commissionanti.
I Maestri D’Ascia custodivano gelosamente quelli che per loro diventavano gli oggetti più preziosi presenti in cantiere, i mezzi garbi.
Questi erano delle mezze sezioni di vari punti dell’imbarcazione che creavano le linee guida per la messa in opera di una corretta sagomatura degli staminali e dei madieri della futura imbarcazione da realizzare.
La costruzione di una imbarcazione cominciava con la messa in opera della chiglia e la posa a piombo di tutti quegli elementi che costituiscono la base dell’imbarcazione, il capo di ruota e il dritto di prua, facendo ricorso ad una serie di puntelli dei madieri collocati trasversalmente ad essa, gli staminali erano collocati parallelamente ad i madieri è ne determinavano uno slancio verso l’alto dando fisionomia alle fiancate dello scafo, il legno adoperato per la realizzazione di queste tre parti dello scafo in genere era la quercia od il rovere, ma talvolta si adoperava anche il gelso molto diffuso ai tempi in Sicilia, questa struttura una volta realizzata veniva chiusa dal fasciame in legno di pino che veniva inchiodato agli staminali ed ai madieri.
Il legno di pino veniva adoperato anche per la realizzazione dei bagli e delle sovrastrutture, anche molto apprezzato era il pitch pine, un legno d’importazione. Per l’impermealizzazione della chiodatura e per leriparazioni delle fessure nel legno veniva adoperato uno stucco preparato in cantiere formato da terra di Sciacca, Biacca ed olio di lino puro.
Dopo aver realizzato la struttura dello scafo rivestita dal fasciame, in cantiere si eseguiva il calafataggio che aveva lo scopo di creare una perfetta impermeabilità, esso consisteva nel collocare negli interstizi del fasciame della corda o della canapa che veniva spinta dentro l’interstizio e ribattuta con dei martelli di legno, poi si procedeva ad una mano di pece che serviva a cementificare il tutto.
Quando l’imbarcazione era strutturalmente finita, veniva verniciata in tutte le sue parti, internamente ed all’esterno dagli operai del cantiere i quali dipingevano il natante nei colori richiesti dal committente, colori che molto spesso erano uguali ha quelli delle imbarcazioni già possedute dalla famiglia del committente,così da poterle distinguere da quelle possedute da altre famiglie che evidentemente avevano colori diversi, dopo che la vernice asciugava era il momento in cui venivano chiamati i “pingisanti”, questi erano gli artigiani pittori che davano un tocco di vitalità spesso scaramantica alla nuova barca, dando un tono di arricchimento con motivi spesso religiosi legati all’arte popolare .
Questi pittori che dipingevano i santi protettori nelle imbarcazioni spesso erano gli stessi che dipingevano i carretti siciliani, appartenenti ad un mondo oramai scomparso, un mondo fatto di credenze popolari, scaramanzia e rispetto verso i santi protettori, un mondo in cui lo stesso saluto tra pescatori era la frase “Viva Maria”, in segno di rispetto per la protettrice dei pescatori.